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Bike Hospital

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1992. Mauri è partito dal centro di Reggio Emilia in sella al suo Honda Shadow Bordeaux , con in testa una gran voglia di fare qualcosa di grande nel proprio piccolo.
Era diretto ad un casolare di campagna molto modesto, arredato ad officina meccanica per moto, in località Masone.
Ha imparato a maneggiare bene i motori ed è sulle moto che dà il meglio di sé, cresciuto professionalmente in una grande azienda sin dai primi anni novanta si diverte a trasformare nel proprio garage tutti i motocicli che gli capitano a tiro.
Guardava insieme a pochi altri in Italia una direzione ancora molto vergine e lontana, in cui le motociclette correvano leggere e feroci soltanto nei film o in introvabili giornali, e qui si vedevano raramente. Sapeva che realizzare il suo sogno di aprire un’officina specializzata nella trasformazione di motociclette non sarebbe stato per nulla facile, si saltava, da un’immensa passione ad un duro lavoro, con la filosofia di esprimere una forma d’arte a rigor di legge. L’incolumità e la serenità dei clienti sono sempre state imprescindibili per Mauri, ancor più oggi che l’officina dispone di una vastissima gamma di proposte, accessori ed attrezzature conformi, l’omologazione delle moto non di serie ha un ruolo primario.
Nello specifico si trattava di riparare le motociclette di amici e clienti dai guasti comuni, e, quando si presentava l’occasione, di lavorare sulle diverse parti della meccanica, della ciclistica, della carrozzeria e di tutto il resto con l’obiettivo di creare un mezzo differenziato, un pezzo unico agli occhi del proprietario, il desiderio diventato realtà di chi lo possiede.
I generi presi in considerazione rappresentavano gran parte del panorama motociclistico dell’epoca, ma l’occhio veniva strizzato in prevalenza verso Custom e Granturismo, più adatte a gusti e progetti di Mauri.
Le Supersportive giapponesi non ricevevano, allora come oggi, molta attenzione, nonostante Mauri non disdegni né le velocità folli né il Paese del Sol Levante, tant’è , che veri e propri bolidi su base Jap sono stati la sua partenza intelligente, mentre adesso si trattano maggiormente V-Twin americani. Nel 1993 grazie all’aiuto di un ragazzo che con Mauri acquistò una Honda CB 750 F, subito spogliata integralmente, venne alla luce la prima creazione Chopper dell’officina.
Le fu dato il nome ‘Death Cab’ , più nota come Giallone, e fu un gran bel colpo.
Proporzionata e sinuosa aveva un telaio rigido rialzato nel canotto di sterzo, carrozzeria minimale di un giallo acceso e motore potentissimo dalle parvenze marmoree. Incalzante.
L’officina nacque ufficialmente nel 1994, col nome di Bike Hospital, in conseguenza al soprannome di ‘Dottore’ che Mauri aveva guadagnato dalla stima dei frequentatori, avviandosi rapidamente grazie alla tenacia e al sacrificio che il titolare riponeva nella professione, giorno e notte, ed in poco tempo iniziarono a farsi vivi numerosi bikers della zona, oltre ad amici e semplici curiosi, alcuni in sella deliziosi racer inglesi, taluni con selvagge Jap e altri ancora con le prime ammalianti Harley Davidson.
All’epoca era veramente arduo trovare accessori o pezzi di ricambio speciali per motociclette non italiane, quindi nel laboratorio di Masone si procedeva modificando ed adattando parti usate provenienti da mercatini di nicchia o creandone altre semplicemente dal nulla come solo i bravi artigiani sanno fare..
Mauri è in grado di costruire numerose componenti della moto, dai serbatoi ai comandi, addirittura fino ai telai, e le sue idee ricevono tuttora ottimi consensi da bikers di mezz’Europa.
Per promuovere l’impresa si pensò di partecipare a raduni ed incontri motociclistici che si presentavano un po’in tutto il Nord Italia, acciuffando così buone opportunità di esibire le proprie fatiche ad un vasto pubblico.
Nei tanti raduni praticati, tra cui spiccavano ‘La notte delle lunghe forcelle’ di Padova e la ‘Biker Fest’ di Udine, c’era spesso un concorso in cui partecipavano le Moto più appariscenti.
Mauri gareggiò sempre col Giallone e fece incetta di primi premi praticamente ovunque.
Fu così che nel Gennaio del 1995 decise di presentare quell’opera così azzeccata alla nascente Fiera di Motociclette di Padova che all’epoca si chiamava Chopper and Custom Show (oggi Bike Expò).
La mise in concorso e vinse il 1° premio nella categoria più ambita, il Best of Show, che oltre una grande soddisfazione offriva pure un bel viaggio a Daytona Beach, in Florida (USA), ossia La Mecca per gli amanti di questo Mondo, nonché geiger d’ispirazioni per appassionati e costruttori. Nel frattempo era già iniziata la preparazione della RedFly, un’altra Honda 750 ad essere sventrata e rivestita in maniera speciale. Vincerà nel 1996 il 1° premio a Padova nella categoria ‘Custom’.
Purtroppo però la storia del Bike Hospital non è fatta tutta di sorrisi, e il primo colpo inferto dal destino volle che nell’Agosto del 1995 Mauri avesse un brutto incidente in Sardegna, cadendo violentemente dal Suzuki Katana che nel frattempo aveva acquistato, riportando una grave frattura alla gamba destra.
L’accaduto provocò all’officina, e a Mauri, un danno enorme, in quanto restò praticamente improduttiva fino al Gennaio del 1997. Quando finalmente il ‘Bike’ riaprì i battenti il mondo Custom era notevolmente mutato, cresciuto in breve tempo da giardino a prateria, sulle strade emiliane, infatti, l’affluenza di Harley era più copiosa di prima e i prodotti legati alla Factory di Milwaukee conquistavano una buona fetta del mercato italiano a discapito delle loro imitazioni, nonostante il numero di quest’ultime fosse comunque elevato, mentre gli storici cavalli inglesi hanno sempre sofferto un po’ di più delle rivali.
Per Mauri la situazione era critica a causa delle difficoltà economiche e fisiche che la caduta aveva comportato, quindi nacque l’esigenza di trovare qualcuno che entrasse in società, e soprattutto che avesse i requisiti necessari, come capacità pratiche, propensione al sacrificio, e un sentito sentimento a favore di un’ideale che per gli amanti del genere è un vero e proprio lifestyle.
Il primo a bussare alla porta fu Davide, un ragazzo di un paese poco distante, più precisamente Fogliano, frazione di Reggio, alle prime armi nel mestiere, tuttavia in gamba, e le cose migliorarono sensibilmente, essendo Mauri vincolato ad un paio di stampelle due braccia in più in officina alzavano nettamente la media dei risultati.
Il mondo Custom italiano stava vivendo un momento d’oro, il bacino d’utenza aumentò esponenzialmente, apparvero con sempre maggiore regolarità parecchie riviste di settore ed eventi di rilievo, incrementando sia le prospettive di lavoro che la concorrenza.
Da qui si decise di allargare la società ad un terzo elemento, e fu così che fece il suo ingresso sulla scena Matteo, correva l’anno 1997. Mauri era sempre la colonna portante dell’officina ma la passione dei nuovi arrivati, prima amici che colleghi, portò una ventata di ottimismo e nuovi progetti.Con un valido team tornarono opportunità di lavoro ed anche successi , ovviamente nei concorsi d’esposizione di motociclette, e fu partecipando che nel 1998 il Bike Hospital si accaparrò il primo premio, sempre al Chopper and Custom Show di Padova, nella categoria Custom non HD con una Suzuki argentata e nera battezzata Doctor Chopper.
Il 1998 fu altresì l’anno in cui l’azienda si trasferì nell’attuale ubicazione in via Monti Urali n°38/I, non più in campagna, ma nell’immediata periferia reggiana.
Fu anche il momento in cui Davide abbandonò il gruppo per motivi del tutto personali.
Anche se rimasti soli, Mauri e Matte, creavano un duo veramente “dynamico”, come una rivista li aveva definiti nell’intitolare la presentazione di una loro opera, dando inoltre vita al periodo più prolifico che l’officina ricordi, conquistando premi importanti nelle edizioni della Fiera 2000, 2001 e soprattutto 2003 dove si presentarono con una creatura straordinaria che ricevette entusiastiche recensioni giornalistiche da esperti del settore e innumerevoli elogi da più parti.
La moto in questione era Barfly II. Incantevole nell’intuizione, magnifica nella realizzazione.
Un superlativo tributo agli Hot Rod che impazzavano negli anni cinquanta per le strade d’America, apparve rigida e bassissima, con accessori di classe e dettagli ricercati, carrozzeria color cenere e cerchi rossi. Apocalittica.

Nell’anno in cui la Harley Davidson festeggiava i suoi cento anni di vita, il Bike Hospital raggiunse livelli altissimi, clienti ed amici appassionati di questa materia affollavano allegri l’ambiente, e i progetti per il futuro erano a dir poco eccitanti.
Ma come ho detto la storia dell’officina Bike Hospital non prevede solo momenti idilliaci, anzi, accadde una tragedia irreparabile, per taluni ancora oggi incredibile, la morte di Matteo dopo un incidente stradale spaventoso.
Chi viveva l’officina con ardore ed affetto subì un fendente terribile, fu un evento tragico.
Lo sgomento afflisse tutto l’ambiente, e per il Bike rialzarsi non fu per niente facile.
Mauri ringrazia di cuore tutti coloro che in quel periodo buio gli sono stati accanto consentendogli di superare un momento umano e professionale che definire difficile sarebbe eufemismo puro.
Non si può dimenticare, ma solo guardare avanti.
Per fortuna adesso il vento è girato e l’atmosfera che si respira al Bike è quella gioviale e rilassante dei tempi migliori. Mauri non è più solo, supportato da Nicola, un ragazzo brillante e solerte, sempre pronto a carpire i segreti del mestiere affinché l’officina possa mantenere la sua tradizione qualitativa. I ragazzi dimostrano ottima sintonia tra loro, e l’ottica con cui affrontano i quotidiani impegni e le prospettive a venire è comune, ossia preparare motociclette ad effetto, miscelando gli stili canonici che la storia fornisce, come bobbers, choppers, racers, hot rod e quant’altro, con il loro gusto finemente ribelle, proponendo alla clientela soluzioni tutt’altro che scontate, con la volontà e il coraggio di mettersi costantemente in gioco, nonostante significhi che la strada da intraprendere non è per forza la più semplice, perché sanno che la vita è proprio come andare in moto, si deve seguire la luce innanzi a noi.

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